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Rawstars

rawstarsFrancesco Lucarelli, leader dei Rawstars (voce solista e principale autore del repertorio della band capitolina), e il chitarrista Jeff Pevar (CPR) si conoscono dal 1993. Il primo incontro avviene in California, in uno studio di registrazione ad Hollywood dove David Crosby e Graham Nash stanno completando le prove per una serie di date acustiche con Pevar e il tastierista Craig Doerge (trascorsi nella band di Jackson Browne e tanto altro). Nel 1997, in un ranch sulle colline intorno a Santa Barbara, Jeff e Francesco registrano le prime tracce di quello che - dopo anni e altre incisioni - diventerà Find The Light (Route 61 Music, 2010), il primo disco dell’autore romano in cui brillano ancora oggi convincenti composizioni molto influenzate dal suono west coast e un bel duetto con Graham Nash intitolato “Mr. Sunshine”.
La carriera solista di Lucarelli resta ancorata a quel disco e a una manciata di date in cui inizia a prender corpo l’idea di volersi sentire parte di una rock band per veicolare in maniera diversa i brani che continua a scrivere.
Quando nel 2011 le canzoni di Find the Light arrivano sul palco dell’Auditorium Parco della Musica a Roma, col compito di aprire per il concerto degli America, Lucarelli (voce, chitarra), Marco Valerio Cecilia (chitarra, voce), Fabrizio Settimi (basso) e Marco Molino (batteria) sono già una band senza saperlo. Si presentano, caso unico nel loro percorso artistico, col nome Find the Light e in chiusura del set della leggendaria formazione americana, alcuni di loro, e altri ospiti, si ritrovano a cantare la classica “A horse with no name”, in una serata che di fatto getta le basi su cui costruire, stagione dopo stagione, canzone dopo canzone, l’esordio dei Rawstars.
Perché passano ancora nove lunghi anni, e a marzo del 2020, durante il lockdown dovuto alla pandemia, Francesco, che ha già da parte una manciata di brani, inizia a scrivere alcune canzoni sulla nuova e anomala situazione. Una di queste, “Don’t lock me down”, una riflessione amara su due anni che porteranno al mondo dolore e paura, viene nel tempo completata dalla band, dalla songwriter Inger Nova Jorgensen (armonie vocali) e da Pevar (chitarra slide).
Quando il brano viene “interpretato” dal videomaker e visualizer Maxo Ruggiero, promulgatore e innovatore del format “animatic” in Italia, quella clip si aggiunge sul mercato a un singolo digitale e insieme diventano le prime creazioni sonore ufficiali dei Rawstars. È il preludio al completamento dell’album di esordio della band, irrobustito in anni di lavoro da presenze italiane, turnisti e amici (dalla vocalist Luisa Capuani a Giovanni Di Cosimo, la cui tromba si è già sentita al servizio dell’Orchestraccia e della band che opera nel tv show di Diego “Zoro” Bianchi), e da altri ospiti americani quali il tastierista Mike Finnigan (scomparso nel 2021, dopo una vita al seguito della grande famiglia Crosby Stills e Nash), dell’organista Jeff Young (da decenni nella band di Jackson Browne) e del polistrumentista (corde, principalmente) Greg Leisz, già apprezzato accanto a Tom Petty e ai Whiskeytown di Ryan Adams.
Rawstars, il disco, oscilla così inevitabilmente tra l’America concreta e collaudata dei tanti ospiti e l’entusiasmo sincero di chi – la band ospitante - abbraccia quel mondo dopo anni di ascolti che ne hanno elevato le capacità e che hanno spostato quella cultura musicale tanto amata anche nei nostri studi di registrazione e sui nostri palchi. Vive qui un mix saporito e vario che offre sferzate rock (“Follow you”, con chitarre quasi southern, e l’acida, younghiana “Paper girl”) accanto a episodi più meditati, nei quali affiora inevitabilmente la tavolozza di colori che tanto i quotati session players quanto le varie fonti d’ispirazione che la band mai nasconde portano in dote. Ne sono esempio le più acustiche “Fly someday” e “How could I have been so blind?”, dove la tessitura chitarristica e una tromba mutata portano verso quel confine oltre il quale si trovano i mondi di Stephen Stills e David Crosby, con Nash che sembra proprio di avvertire negli impasti vocali ma che questa volta non c’è.
Si aggiungono anche le stanze del rock blues (“If were an angel”) e gli alleggerimenti piacevolmente mainstream (“Watching the show”), tutto in un affresco che deve tanto alla musica d’autore californiana nata negli anni Settanta.
Ma non è solo musica derivativa, quella dei Rawstars: è un abbraccio tra culture, sbilanciato verso il Nordamerica certo, ma annunciato con chiarezza dal percorso di questi musicisti. Di nostro c’è la curiosità e c’è un amore accertato per certe aree sonore, che risiede in ogni dettaglio delle composizioni di Lucarelli (in qualche caso assistito da Cecilia e Molino), sempre oscillanti tra guerra, sentimenti e disagio sociale.
Questa solida band ha lasciato traccia nel nuovo lavoro di Ralph Molina dei Crazy Horse, un album di prossima uscita a cui i quattro hanno contribuito suonando su diversi brani.

Rawstars (2022)
1.Sometime / 2.Watching the show / 3.Don’t lock me down / 4.Paper girl / 5.Faster than the light (F.Lucarelli/M.V.Cecilia) / 6.Follow you / 7.If I were an angel / 8.Let me take you higher / 9.Fly someday (F.Lucarelli/M.V.Cecilia) / 10.Summer night blues / 11.How could I have been so blind? (F.Lucarelli, M.Molino, M.V.Cecilia) All songs by Francesco Lucarelli except where noted

DISCOGRAFIA

  • Rawstars (2022)
  • Find the light (2010) (Francesco Lucarelli)

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Foto ad alta risoluzione 1 (Colore - by Filippo De Orchi)

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